Marisa Marconi nasce artista
autodidatta; ascolta la voce istintiva di una sensorialità che non è
insegnata nelle accademie e che non è scritta in alcun programma
estetico.
Come per Murer, soggetto costante della sua operazione
artistica è l’uomo visto nella drammaticità della sua esistenza,
nel momento dinamico della integrazione, che crea sempre conflitto:
tra la libertà dell’essere e la costruzione/costrizione sociale;
tra la sua stessa intelligenza e le forze naturali. Le opere sono
intrise di questo dissidio - come ne fossero il campo di battaglia -.
Le tracce umane sulle tele sono
colte nell’intimità del loro dolore, e non è il volto più
espressivo del corpo. La tensione muscolare nella sofferenza affiora
dal piano della sua presenza naturale fino a collimare con la
concreta sensazione, per il tramite della impronta lasciata sulla
tela da un ipotetico corpo contratto, torto, soggetto passivo di una
violenza morale e fisica, o per il tramite del legno da cui affiora
un corpo in movimento fino all’ultimo muscolo, vitale, caldo,
fors’anche sensuale.
Isabella Monti
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