sabato 14 giugno 2014
Marisa Marconi parla di sé e della sua arte. L'intervista a Cecilia Ci del Resto del Carlino
Marisa Marconi e la sua arte: “Così do forma al vento”
Il bianco e il nero e il “colore” che c'è, ma non si vede. Le sue riflessioni in chiaroscuro come un velo di Maya che nasconde la gioia di vivere. Le sue forme in movimento come anelito di libertà. Un'artista genuina che vuole continuare a giocare, a sognare. Ed è tutto quello che oggi chiede alla vita Marisa Marconi. La incontriamo a Castel di Lama dove vive e lavora. *
I suoi lavori sono caratterizzati dalla presenza del bianco e nero, il colore non le appartiene?
Mi appartiene, mi piacciono i colori nelle loro infinite declinazioni, ma ho voluto liberare il mio lavoro dal condizionamento del colore in favore dell'essenzialità. Una sorta di azzeramento della contaminazione visiva per lasciare spazio alle forme nella loro purezza.
In alcuni casi i suoi dipinti sembrano ispirati alle famose macchie di Rorschach, utilizzate come test proiettivo in ambito psicologico. Questo nasce da un viaggio introspettivo che proietti nella pittura?
Nulla a che fare con test psicologici, l'arte è intuizione e poi suggerimento, non mi piacciono definizioni e incasellamenti, non amo nemmeno indicare le opere attraverso titoli, tranne quando non posso farne a meno, come nel caso della mia partecipazione alla raccolta Libertà di espressione. È il fruitore che deve entrare nell'opera, completarla con la sua sensibilità e la sua cultura.
Restando in un contesto psicologico, qual è l'aspetto più importante del suo fare arte? La possibilità di esprimersi con assoluta libertà rispetto a qualsiasi altra situazione, l'impiego di energie e doti che spingono verso..., la sublimazione di sentimenti ed esperienze positive e negative? Oppure?
Senza dubbio il potermi esprimere liberamente nel raccoglimento con me stessa e anche la sublimazione della realtà, con uno sguardo al vissuto quotidiano, a quello personale, alla storia umana tutta.
È stata rapita dal 'sacro fuoco dell'arte' o è stata lei a corteggiarla?
Rapita. Sono stata sempre affascinata da quello che si poteva concretizzare sulla superficie. Come un'idea, una intuizione potesse essere trasformata in un dato visivo. Non ho fatto un percorso accademico, la strada verso la mia scelta è stata un po' più lunga. Ma la mia curiosità mi ha supportato nel tragitto e anche la conoscenza e l'esperienza di molti altri artisti è stata fondamentale.
Quali fatiche e scogli da superare in questo tragitto?
Fatiche? No, molte volte una lotta contro il tempo che non mi basta mai. La mia determinazione, la mia sete d'arte mi hanno fatto superare tutto.
Quali i sogni di Marisa Marconi bambina?
Sono nata a Grottammare, vicino al mare. Mi piaceva osservarlo in tutte le stagioni, quando la superficie era calma e liscia, quando era inquieto e burrascoso e il cielo era cupo. Una barca, una nave che vedevo passare, i pescatori che ritiravano le reti sulla spiaggia piene di pesci. Poi, al di là della strada, c'era la terra meravigliosa, la vegetazione assortita, i campi d'autunno lavorati dalla forza dell'uomo. Era il mio mondo incantato. I miei sogni tra cielo e mare, i viaggi della mente, dove incontravo forme fantastiche che ho portato con me.
Sono questi sogni ad averla condotta sulla strada dell'espressione artistica?
Il sogno è libero, l'arte è libera, esprimermi attraverso il linguaggio artistico è quello che so fare, libera di muovermi senza condizioni, di raccontare emozioni, stimolare ricordi, scavare nella miniera interiore, tradurre tutto in visioni.
C'è nella sua opera una dimensione di partecipazione e di mistero, anche di sofferenza?
La definizione di sofferenza è qualcosa in cui non mi riconosco. Il mistero della vita è qualcosa che accomuna gli uomini e l'espressione dell'arte ci permette di sfiorare la comprensione del non riconoscibile.
Nel suo laboratorio c'è di tutto, sembra una officina d'altri tempi...
È lo spazio che condivido con mio marito, attrezzato per tutto: ceramica, incisione, fotografia, litografia, pittura, scultura... Ci sono cornici e computer, ma io posso lavorare dappertutto, in qualsiasi altro posto.
Pittura e incisione, ma anche scultura. Il suo linguaggio diviene tridimensionale...
Mi piace la materia, sentirla fra le mani e con le mani trasformarla... e con gli strumenti. Scultura e pittura si completano, rispondono ad una esigenza interiore, comunque a un dato sensoriale.
Attraverso la scultura esprime qualcosa di diverso rispetto alla pittura?
Come ho detto, c'è qualcosa che accomuna le due discipline, naturalmente l'incontro con la materia nella scultura è un gioco affascinante. Ogni materiale offre opportunità di espressione distinte rispetto al risultato finale. Diverso è lavorare a tutto tondo, aggredire una superficie piana o una lastra incidendola a puntasecca o a morsura. C'è sempre lo stupore, l'incanto del prodotto finito.
Lei si esprime anche attraverso la grafica, un linguaggio che le ha consentito di dare 'forma al vento'. A cosa rimanda questo 'racconto'?
È un omaggio a Pericle Fazzini, uno scultore mio concittadino, che Giuseppe Ungaretti ha definito 'scultore del vento'.
E non è finita, nel suo percorso professionale c'è la ceramica, una necessità di misurarsi anche con il dio del fuoco?
L'alleanza con il dio del fuoco in realtà è una sfida. Finché non apri il forno non sai come saranno i colori che tu gli hai consegnato insieme alla terra. È allora che esplode l'emozione, bellissimo!
Come nasce il suo museo-laboratorio di Castel di Lama?
Dalla passione mia e di mio marito anche lui artista. Negli anni abbiamo avuto l'opportunità di viaggiare, conoscere artisti, acquistare opere che abbiamo messo a disposizione della comunità come museo, e abbiamo aperto il nostro laboratorio a quegli artisti che vogliono condividere le loro esperienze.
L'arte può contribuire a 'salvare' gli uomini?
L'arte non è una superficie. Può contribuire ad essere liberi, vivere e conoscere la propria identità, percepire la necessità interiore, trovare l'universo.
L'immagine interiore di Marisa Marconi esce allo scoperto nei suoi lavori?
Sicuramente, per chi sa o vuole leggere. Ma non è importante tanto la scoperta della mia interiorità, quanto il messaggio che giunge allo spirito del fruitore.
Secondo il suo punto di vista, c'è differenza fra l'approccio all'arte maschile e a quello femminile?
L'arte non ha sesso, il pensiero, la necessità di essere artista, è indipendente dal genere maschile o femminile.
Si sentirebbe di dire insieme a Violeta Parra “grazie alla vita che mi ha dato tanto...”?
Sì, la coscienza dell'essere, la gioia. La vita è bellissima.
* Intervista a cura di Cecilia Ci. Resto Del Carlino, 13 novembre 2011
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